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Omar Pedrini: il rocker contadino con un cuore troppo grande.

Aggiornamento: 14 feb





Il suo cuore troppo grande è un destino. Potrebbe essere un'allegoria, mi piace vedere indizi evangelici nelle vite sottese alla rivelazione, dove l'errore è costellato di svolgimenti sublimi. Il talento a scudo e offerta a molteplici avversità. Omar Pedrini è risorto. Sette volte. Sette interventi. Il cuore troppo grande. E non lo sapeva, non solo biologicamente. C'è un prima e un dopo in certe vite. Qualcosa di esplosivo, inimmaginabile.

Sanremo 2004.

Avevo appena vinto il premio speciale per il miglior testo, con Lavoro inutile, che parla di chi fa il nostro mestiere - racconta - Stava partendo un mega tour. Sanremo era andato bene. Una grande gioia.

C'è un prima e un dopo. Nella grande gioia, si conficca l'imprevedibile. Il malore. Viene operato d'urgenza. Mi piacerebbe vederci un braccio della Croce. L'indizio. Qualcosa deve cambiare. Omar attraversa l'incertezza capace di designare i profili di un'esistenza, ricondurre gli eccessi ad altro.


Omar Pedrini (Brescia, 1967)
Omar Pedrini (Brescia, 1967)


Negli anni '90, la cocaina la trovavi in camerino, te la facevano trovare, gentilmente offerta, o nei dopo concerti - ricorda - Ma avevamo vent'anni, erano anni un po' così.

Omar ricorda con un sorriso, sorride spesso, ed è anche abbastanza distante, guardando, senza sussulto, qualcosa di effimero.

Perché c'è un prima e un dopo.

Mi operano d'urgenza e mi rendo conto di avere questo problema, congenito, pesante, questa fragilità arteriosa e venosa che, soprattutto intorno al cuore, mi creava dei danni continui oltreché un cuore ipertrofico, un po' più grande del normale, il che è molto poetico ma è terribile per quello che ti crea o ti può creare.

Ogni intervento è la resurrezione. Deve reimparare a camminare, a parlare, a respirare.

E poi, cambia o si definisce ancor meglio lo sguardo sul mondo.

Da allora, sebbene sapessi che la vita è un battito di ciglia, come ho imparato in Ashram, nel 1993, non solo si deve vivere ogni giorno come fosse l'ultimo, ma studiare e imparare anche come se non si dovesse morire mai.

Deve imparare ogni volta, adeguarsi al mondo, ogni volta. E lo fa, da subito.

Ho imparato a godere dei minuti, delle ore, dei giorni. Ho imparato. Dopo ogni operazione, devo ricominciare a parlare, camminare, figuriamoci cantare. Non salgo in ascensore. Non lo uso, e mi dico: che bello avere le gambe, camminare, salire o scendere le scale. Non baratto cose inerenti ai soldi, alla carriera, con il mio amore per la terra. È cambiato tutto, è cambiato il mio sguardo.

Dio entra nella sua vita? Sì, ma un Dio senza dogmi.

Seguivo già le filosofie orientali, la spiritualità stava tornando dentro di me. Il Cristo.

Gesù. Figura bellissima. Omar ne è attratto. Mi riferisce di alcune opere maestose nell'arte, il Cristo Vincente. Inchiodato alla Croce, sorride.

Ne sono attratto. Mi piacciono molto i San Sebastiano, nella pittura.

E c'è il buddismo. La comunità tibetana a Pomaia. Segue la causa del Dalai Lama dal 1999. Nel '93 entra nella comune spirituale per disintossicarsi, non solo dalle droghe, aveva già un figlio, Pablo, lo ha fatto per lui. Poteva entrare di diritto nel club dei 27, i rocker che non hanno superato quella soglia. Droga, alcol, donne. Ma c'era Pablo, Pablo, come Pablo Picasso, Pablo Neruda, Pablo Escobar, dice.

Dio è nella mia vita, in maniera molto personale. Non credo nei dogmi, nemmeno in politica, sono un anarchico, pacifista, aggiungo.
Allievo di Gino Veronelli, mio maestro di vino e di anarchia, pacifista come Lawrence Ferlinghetti, con il quale ho scritto una canzone. E Gesù: è il primo hippy, sovversivo, figura bellissima, ne sento fortemente l'attrazione. Ora frequento anche il Vaticano perché c'è un papa ribelle e davvero vicino agli ultimi.

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La politica giusta non esiste, eccetto la militanza dei preti di frontiera, Don Bignami, Don Ciotti, Don Beppe di Calvene, Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria. La reclusione. Il carcere. È finito dentro, solo per una notte. Più che con le droghe (ride, nda) ha avuto problemi con la polizia. Risse da stadio. "Sono pur sempre un ultrà dentro, quindi meglio non rompermi i coglioni". Però in carcere finiscono i suoi amici, il carcere è la sua spina nel fianco. Un giorno riceve una lettera. Un detenuto gli scrive: i miei giorni preferiti sono i giorni di pioggia, i peggiori quando c'è il sole, perché dalle grate vedo la vita che ho perso. La vita fuori.

Nasce così Sole spento.




E c'è la felicità. Cercarla. Secondo Kurt Vonnegut. Lo porta in scena. Teatro Canzone. La felicità. Cercarla, da Epicuro ai giorni nostri.

Di Vonnegut ho riscoperto la sua ironia, il sarcasmo, l'humor nero. Ho cercato di indagare la felicità. Ho sentito l'esigenza di portarlo in teatro. Non c'è bisogno di una grave malattia per apprezzare certi aspetti della vita. Ecco scusa se lo dico a te Veronica (intercala con tenerezza, nda), tu hai diritto di elaborare il tuo lutto, ma accorgersi della bellezza, il mio piccolo compito è farlo capire adesso. Passo un terzo della mia vita in ospedale, vedo troppi malati, è giusto dirlo e dare coraggio, ricordare la felicità.

Omar viene da un quartiere periferico di Brescia, Urago Mella, Mella dal fiume che attraversa la città. Un quartiere di immigrati e proletari, il lungofiume puntellato da baracche. Il massimo per un giovane di allora era entrare nella curva Nord. Non arrivare a Sanremo, non arrivarci con un band e vincere il premio della critica, realizzato apposta quell'anno per premiare loro, i Timoria.

I genitori erano operai di cotonificio. Il bisnonno liutaio, la nonna chitarrista.

La prendevano per matta. Oggi sarebbe una cantantessa. La mamma era un'operaia. Papà aveva solo un paio di pantaloni e chiedeva ai compagni, a ricreazione, i torsoli delle mele, ma era così bravo a scuola che il direttore del cotonificio gli pagò una borsa di studio. Lasciò il cotonificio e ci portò a Brescia. In pochi anni aprì la sua officina e ci diede il benessere piccolo borghese e una casa nuova. La mamma entrò in cotonificio a dieci anni.

La madre è morta un giorno di venti anni fa.


Era improbabile non diventare un chitarrista. Un artista, un musicista, un compositore. Front-man, solista. Omar compone colonne sonore, oggi vorrebbe realizzare il grande progetto di un'opera lirica o anche rock, ne parla con l'amico Piero Maranghi, direttore di Sky Classic Tv, magari si farà.

Nei prossimi vent'anni, se la vita me li concede, vorrei essere un anziano felice.

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La sua terra, la tenuta in Toscana, le vigne. Scrivere. Racconti. Brevi. Il rocker contadino, seduto davanti al fuoco, bere il vino delle sue terre. Lo studio di incisione tirato su in una stalla.

Come Neil Young, il mio idolo.

E scrivere per gli altri. Legge Neruda. Pasolini. Majakoskij. La beat generation. Tra i contemporanei, l'amico Pinketts. Erri De Luca. Mauro Corona. Giacomo Papi.

La poesia:

La forma d'arte più povera e la più potente.

Scrivere per gli altri.

Adesso forse è arrivato il momento.

Dopo essere stato nell'alveo dei rocker trasgressivi, dopo i dischi d'oro. Il successo a 23 anni. La vita veloce. Poteva restarci. E sopravvive.

C'era Pablo, il figlio.


Omar Pedrini, live, 1998
Omar Pedrini, live, 1998

Mi è esplosa la coscienza, con la sua nascita. Cominciò ad apparirmi sempre meno seducente l'idea di morire giovane.
Ma sono ancora sulle barricate. Nasco incendiario, morirò piromane.

La vita gli concede un'altra possibilità. Un amore. Due figli. Si chiama resistenza. Non ama molto il termine resilienza.

Trovami tu, per favore, una parola simile.

Avrà un nuovo intervento. Deve entrare in ospedale. Dopo non potrà salire sul palco per almeno un anno, raccomandazione dei cardiochirurghi, ai quali lui raccomanda alla stessa maniera:

non fatemi uscire l'anima, è la cosa a cui tengo di più.

Tra un anno però torna in teatro, la sua seconda passione, dopo il rock. Rock e teatro.

Omar ricuce le sue ferite di polvere d'oro.

Sono il vaso di ceramica cinese nel kintsugi.

Sorride. Sempre.

Ha attraversato la notte, risplende ogni errore e ogni altezza ingannevole, nell'esatta verticalità, una luce che si sprigiona nella consapevolezza. Dice che è il rocker che salva l'anima con il rock, più o meno, non precisamente, qualcosa alla Wim Wenders. È accecato da alcune immagini, spade di luce si emancipano dalla faretra. Oppure il braccio della Croce che ti indica il sentiero, la privazione, o un cuore troppo grande.





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