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La salvezza - La ragione di ogni scelta

Il mio amico di gioventù un giorno mi disse: non hai coscienza borghese. La presi come una provocazione sciolta in un ammonimento ammirato. Non capivo davvero, non conoscendolo affatto, quale ganglio scivoloso fosse il tratto borghese. Un personaggio secondario in un romanzo di Malaparte asseriva caustico che l'eroismo era una forma di vigliaccheria borghese. Quel che ritorna alla fine di ogni rivoluzione. Se non hai il coraggio di essere borghese, sii almeno proletario. Sussiego inutile, oggi appare abbastanza inesistente il recinto ove decidere di rinchiudere la mia ritrosia al mondo tradotta dallo sguardo altrui come un'avventatezza, una follia. Non riconoscevo i confini di una comunità cosiddetta civile in cui risiedere, averne un qualche diritto, semmai un veto, e quello soltanto. Forse è la ragione di ogni scelta la disappartenenza? La fragilità mutevole che mi governava collocandomi nei luoghi non consoni. L'inadeguatezza che si mostrava nel rovescio della sua veste: l'ardore inconsulto. L'ardore.

Oggi mi accompagna l'età, anche se in fondo sembro una ragazzina, il mio modo di pensare, di agire, resta involuto. A proposito della salvezza. La ragazzina querula non voleva veramente salvare il mondo, di cui non sapeva molto. Aveva pietà di tutto, imprevedibilmente. Una pietà la cui scaturigine rappresentava una vergogna. Ma era piuttosto il tragitto che si conformava al destino. Un destino che biforcava nel segno assoluto dell'ancora più assoluta solitudine.

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Il mio canone si chiama solitudine.

Forse per questo il piccolo Cristo è riuscito ad amarmi, perché solo una così poteva amare, perché una così poteva amare lui.

Il dolore psichiatrico mancava nell'ordalia prevista nell'albero della vita. Ho ingaggiato competizioni vane con le varie scale del dolore, vortici uno accanto all'altro, senza alcuna arroganza dimostravano che non sussisteva l'ordine gerarchico, il dolore scansionava in giardini sempre più aspri dai cespi misericordiosi e nascosti, che avrei incontrato, collaborando a curarne i virgulti, i sepali vellutati, la corolla esplosa come a margine di una pazienza sovrana. Il sole che incontravo dimorava nelle ombre. Il piccolo Cristo mi amava dunque.

Dalla sua morte, potevo cominciare un'iniziazione, lasciarmi andare, un congedo, l'accettazione severissima di una speranza inaudita: non moriremo mai.

In sogno non lo riconosco, non lo ricordo. Stanotte c'era. Abitavamo alcune case. Attraversavamo le stanze, non avevamo la nostra. Ho trovato alcuni metodi per consolarmi. Ascoltare un accento romanesco. Immaginare il viaggio che è stato interrotto. Il treno. Roma. I paesaggi verde bruno. Settembre. L'autunno. La panchina sotto le fronde, il ponte, i ruscelli.

E ancora una volta battermi il petto: la mia casa. La mia nuova casa.

Cos'è l'amore?

Al di sopra ogni cosa. Al di sopra, diceva.

"La mia Varanasi".


© Veronica Tomassini/emmeeerre letterature

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